Ecomafia: crimini ambientali delle mafie, da rifiuti tossici a incendi e abusivismo, con danni irreversibili a territori, biodiversità e salute pubblica.


Neologismo coniato da Legambiente nel 1994 per indicare le attività criminali poste in essere dalla varie consorterie mafiose ai danni dell’ambiente, dallo sfruttamento di biodiversità e di risorse ambientali all’abusivismo edilizio, dai traffici dei rifiuti ai furti e gas ozono lesivi alle opere d’arte e beni archeologici, dai ai reati legati al settore agroalimentare agli incendi di superfici boschive e così via.

Il termine ecomafia fece la sua comparsa ufficiale nel primo Rapporto Ecomafia di Legambiente, pubblicato in quella occasione con il titolo “Le ecomafie – il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale”, scritto in collaborazione con l’Arma dei carabinieri e l’Eurispes.

I clan finora censiti da Legambiente ammontano a 375 (Ecomafia 2023).

A differenza del termine ecoreato, quindi, E. prende in considerazione solo le attività ecocriminali realizzate grazie al contributo delle mafie. Come emerge dalla oramai sterminata letteratura giudiziaria e processuale, il ruolo delle ecomafie nelle attività di aggressione ambientale non si svolge quasi mai in maniera esclusiva ma attraverso il contributo di altri attori, ovvero imprenditori, funzionari pubblici, professionisti e faccendieri.

Sia per i ricorrenti fatti di cronaca giudiziaria che per le ripetute emergenze ambientali causate dalla gestione illegale dei ciclo dei rifiuti il termine E. è spesso associato alla Campania, in particolare ai clan originari delle province di Napoli e Caserta, che in quelle due province hanno dato vita al peggiore sistema ecomafioso realizzatosi in un territorio.

La peculiarità del modus operandi dei clan campani è stata di rivolgere il proprio interesse principalmente alla gestione dei rifiuti speciali (provenienti dal mondo economico/produttivo e costituenti più dell’80% del totale dei rifiuti generati ogni anno), in gran parte prodotti nelle aree industriali del Centro e del Nord Italia, offrendo dietro lauto compenso le aree agricole e marginali delle due province per gli sversamenti illegali (economicamente più convenienti dei trattamenti a norma di legge). Sversamenti che sono avvenuti ininterrottamente dalla metà degli anni Novanti fino alla prima decade degli anni Duemila, anche se continuano a manifestarsi ancora oggi, sebbene con minore intensità. Dopo gli sversamenti illegali, i siti venivano regolarmente incendiati dalla manovalanza dei clan per far sparire le tracce dei traffici e liberare altro spazio per i futuri sversamenti, da qui il triste epiteto dato da Legambiente all’area a cavallo delle due province campane di “Terra dei fuochi”.

Il ruolo dei clan campani ha comunque riguardato anche alla gestione illegale dei ciclo dei rifiuti urbani, controllando i trasporti, le raccolte e persino la gestione dei terreni dove stoccare la famose ecoballe, ossia i rifiuti indifferenziati che venivano semplicemente triturati e cellofanati per un improbabile avvio a termovalorizzazione. Improbabile perché le ecoballe prodotte, privi di alcuna forma di differenziazione a monte (quindi contenenti anche rifiuti organici non stabilizzati e d’altro tipo, quindi con tassi di umidità troppo elevati e potenzialmente dannosi per la salute pubblica) non rispettavano i parametri di legge per poter essere considerati combustibile derivato dai rifiuti (CDR), rimanendo quindi rifiuti indifferenziati tout court. Anomalia che serviva ai clan per poter continuare a svolgere un ruolo attivo nelle ricorrenti emergenze, diventate, quest’ultime, il tratto tipico dell’ecomafia più affarista e spregiudicata. Ancora oggi, anno 2024, di ecoballe ne rimangono da smaltire circa 3,5 milioni di tonnellate.

Nel 1995 è stata istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti”, che sin dall’inizio è stata denominata “Commissione Ecomafia”, proprio a sottolineare l’interesse dei commissari a investigare il ruolo delle mafie nel ciclo dei rifiuti. La Commissione d’inchiesta è stata rinnovata in tutte le legislature successive, fino all’attuale XIX, che ha allargato la sua area d’interesse, come emerge dalla nuova denominazione “Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecita connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentare”, presieduta dal deputato Jacopo Morrone.

Nelle indagini contro le ecomafie non sono mancate le vittime, come la giornalista Ilaria Alpi insieme all’operatore Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio nel marzo del 1994, il capitano di corvetta Natale De Grazie, probabilmente avvelenato nel dicembre del 1995 mentre era in missione nell’ambito di una indagine sulle cosiddette Navi dei Veleni e ancora, solo per citare i nomi più noti, don Cesare Boschin, Domenico Beneventano, Renata Fonte, Marcello Torre, Angelo Vassallo e Pasquale Cappuccio.


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