La fortezza Europa riduce sempre più le possibilità di tutela per i migranti climatici
Le nuove politiche UE su rimpatri e “Paesi sicuri” riducono ulteriormente le tutele per chi migra, escludendo di fatto chi fugge da disastri climatici. Anche i dati smontano la retorica dell’invasione.
Da anni politiche migratorie sempre più attente ai confini avvalorano che non tutti i passaporti hanno lo stesso peso e per chi scappa da eventi climatici estremi le possibilità di tutela si riducono ancora di più. Eppure gli eventi climatici estremi che hanno colpito duramente anche l’Europa dimostrano che dovremmo provare a empatizzare di più con chi fugge da alluvioni, siccità, uragani, desertificazione, visto che siamo tutti potenziali sfollati del clima su un Pianeta che sta bruciando.
Lo scorso 8 dicembre, seppure con il voto contrario di Spagna, Francia, Grecia e Portogallo, e la dura contestazione di molte associazioni della società civile, il Consiglio dell’Unione europea ha dato il via libera a un nuovo pacchetto di regole sui rimpatri per i migranti considerati irregolari. Come si evince già dal titolo del comunicato dell’ASGI, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, “Rimpatri e Paesi “sicuri”: le proposte del Consiglio dell’Unione europea mortificano i diritti fondamentali”, che propone una prima accurata lettura di questo pacchetto, le possibilità di tutela per chi fugge dal proprio Paesi si riducono ancora.
Due sono i punti cruciali – che fanno leva su procedure accelerate di valutazione delle domande di asilo e di espulsione – e cioè: una prima lista comune di Paesi di origine cosiddetti “sicuri” (Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia), che permetterà di rigettare in maniera quasi automatica le domande di asilo dei cittadini degli Stati “sicuri”, e la possibilità di designare un Paese terzo sicuro (non di origine) dove le persone migranti potrebbero essere trasferite per la valutazione delle domande di asilo. Un modello che richiama quanto proposto già dal Protocollo Italia-Albania, che ad oggi di fatto resta un progetto incompiuto, che però secondo un’inchiesta di ActionAid, diventata anche un esposto alla Corte dei conti per danno erariale, è già costato 140 milioni di euro, risorse economiche che sarebbero potute essere indirizzate verso politiche di accoglienza e inclusione.
Come ci racconta Anna Brambilla dell’ASGI, “Tra gli aspetti più preoccupanti del nuovo pacchetto approvato dal Consiglio UE sui rimpatri rientra sicuramente la possibilità di effettuare perquisizioni da parte delle forze dell’ordine sulla persona o nelle abitazioni delle persone migranti che non hanno ottemperato a particolari obblighi di cooperazione. Si tratta di poteri concessi alle forze dell’ordine, previsti per altre persone solo in caso di determinati tipi di reato come a titolo di esempio il possesso di armi, che rappresentano un ulteriore sviluppo di “un diritto eccezionale” che, sul modello di quanto avviene negli Stati Uniti, ha l’effetto di criminalizzare le persone migranti. Salta anche il criterio del legame tra il richiedente asilo e i Paesi terzi sicuri (non di origine) che ospiteranno i cosiddetti return hubs, ossia spazi di espulsione senza una chiara giurisdizione“.
Dunque le maglie per chi chiede asilo e accoglienza si ristringono, e in tale contesto, se fuggi da un disastro climatico hai ancora meno diritti, in quanto la migrazione climatica-ambientale è esclusa dalla valutazione delle domande di protezione, sebbene l’incidenza sulla vita delle persone in Paesi come il Bangladesh pesa già come le bombe.
L’articolo 10 della costituzione italiana: il diritto d’asilo
Il dibattito politico sulla gestione della migrazione da anni non si risparmia nell’utilizzare termini forti come invasione o addirittura sostituzione etnica. Tanto da criminalizzare sia i migranti che chi presta loro soccorso in mare o offre accoglienza, fino ad arrivare a calpestare quanto sancito dall’Art.10 della costituzione italiana che al comma 3 recita “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. Ne è conferma, tra le altre misure, il rinnovo automatico (lo scorso 2 novembre) per altri tre anni del “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo stato della Libia e la Repubblica italiana”, noto come Memorandum tra Italia e Libia, firmato nel 2017. Uno strumento che rientra nella strategia politica del governo di combattere l’immigrazione considerata illegale, attraverso l’esternalizzazione delle frontiere, dunque il sostegno (con aiuti economici e mezzi) alla guardia costiera libica e la collaborazione nel controllo delle frontiere. Un rinnovo arrivato nonostante le Nazioni Unite, la Corte penale internazionale e organizzazioni indipendenti abbiano denunciato in Libia violenze, torture perpetrate sui migranti, la presenza di fosse comuni.
Sono i numeri in Italia a smantellare la propaganda
Partendo proprio dai dati pubblicati dal Ministero dell’Interno (aggiornati all’11 dicembre 2025), quest’anno sono sbarcate sulle coste italiane 64.614 persone. Un numero tale da non riempire neanche lo stadio San Siro di Milano, il più grande d’Italia per capienza con circa 76mila posti. Si tratta di persone provenienti per lo più dal Bangladesh (19.562), seguito dall’Egitto (8.841). Non a caso due tra i Paesi considerati “sicuri”. La lista più che arrivare da una valutazione oggettiva sembra avere una valenza strumentale. Come dichiarato qualche anno fa anche dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, le liste coincidono con le nazionalità di maggiore arrivo oltre che trattarsi di Stati con i quali i governi che le stilano hanno degli interessi.

Figura 1 Dati persone migranti in arrivo in Italia (Fonte: Ministero dell’Interno – 11 dicembre 2025)
Restando ancora sui numeri, prendiamo in esame gli spostamenti dal Sudan, un Paese intrappolato in un circolo vizioso sempre più complesso di conflitto armato e condizioni climatiche estreme, che vive tra le più gravi crisi umanitarie al mondo. I sudanesi in arrivo in Italia sono circa 4.000 (complessivamente meno di 12 mila dal 2023), i numeri hanno invece una magnitudo importante: circa 1,3 milioni (dall’aprile del 2023) guardando agli spostamenti dal Sudan verso il Sud Sudan e il Ciad, entrambi classificati come a basso reddito, segnati da instabilità politica e crisi umanitarie. Il Ciad, ad esempio, ospita oltre 1,4 milioni di rifugiati e richiedenti asilo ed è al mondo tra i Paesi più vulnerabili al clima. Solo nel 2024, le inondazioni hanno provocato oltre 1,3 milioni di sfollamenti interni, il numero più alto a seguito di eventi climatici estremi mai registrato nel Paese e superiore a quello degli ultimi 15 anni messi insieme.
Dunque, contrariamente alla percezione diffusa nei Paesi più ricchi sono principalmente i Paesi più poveri e fragili ad accogliere chi è costretto a scappare da guerre, carestie, eventi climatici estremi. Secondo il rapporto annuale Global Trends dell’UNHCR il 67% dei rifugiati rimane nei Paesi limitrofi e i Paesi a basso e medio reddito ospitano il 73% dei rifugiati del mondo.
No Escape II: la via da seguire
“Ogni anno, gli impatti complessivi di conflitti, eventi meteorologici estremi e disastri su rifugiati, sfollati e persone che li accolgono continuano ad aggravarsi, ma aumenta anche la nostra comprensione di ciò che funziona: investimenti coraggiosi, azioni inclusive e fiducia nelle comunità colpite. Il divario tra bisogni e risorse disponibili rimane ampio e le persone non possono sopravvivere in questo divario. Dobbiamo colmarlo, non a parole, ma con ferma volontà, solidarietà e un’azione costante per il clima“. Sono le parole di Filippo Grandi alla guida dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, che hanno accompagnato l’uscita del Rapporto No Escape II: The Way Forward, presentato in occasione della Conferenza mondiale sul clima di Belem. L’UNHCR con questo Rapporto ha lanciato una chiamata all’azione: abilitare, includere, investire e realizzare (Fig. 2) per portare soluzioni climatiche in prima linea per superare sfollamenti e conflitti. Il Rapporto riporta dati alquanto significativi rispetto all’impatto del caos climatico:
- 3 rifugiati o sfollati su 4 vivono in Paesi esposti a rischi climatici da elevati a estremi;
- 250 milioni di movimenti forzati interni provocati da disastri climatici negli ultimi 10 anni, circa 70.000 al giorno (2 movimenti ogni 3 secondi). +10% rispetto al 2023;
- dal 2009 i Paesi che segnalano sfollamenti dovuti sia a conflitti che a calamità naturali sono triplicati;
- entro il 2050, i 15 campi di rifugiati più caldi del mondo, situati in Gambia, Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali, dovranno affrontare circa 200 giorni di stress da ondate di calore pericolose ogni anno;
- entro il 2040, i Paesi che dovranno affrontare rischi climatici estremi potrebbero aumentare da 3 a 65. Questi 65 Paesi ospitano il 45% di tutte le persone ad oggi sfollate.

Figura 2 Chiamata all’azione (Fonte No Escape II: The Way Forward)
Visti climatici per gli abitanti di Tuvalu
Intanto dall’Australia arrivano i primi visti climatici per i cittadini di Tuvalu, un arcipelago remoto nel Pacifico, a soli (in media) due metri sopra il livello del mare. Secondo la NASA, entro il 2050 metà dell’atollo di Funafuti, dove vive il 60% dei residenti di Tuvalu, rischia di essere sommerso. L’accordo tra i due Paesi, il “Falepili Union, prevede 280 visti all’anno concessi per sorteggio dall’Australia, una forma di migrazione pianificata che rientra nel Piano di adattamento ai cambiamenti climatici di Tuvalu. Questa però non è una rinuncia alla propria terra. Sebbene i tuvaluani abbiano accettato questo salvagente dal governo di Canberra, stanno allo stesso tempo implementando misure fisiche di adattamento per mettere in sicurezza le proprie isole, attraverso la creazione di oltre 3,5 Km2 di nuovo territorio rialzato, sistemi per la raccolta dell’acqua e la protezione delle infrastrutture.
L’azione del governo di Canberra, seppure con i limiti geopolitici che cela (l’Australia ha chiesto l’ingerenza del governo di Canberra nelle relazioni di Tuvalu con gli Stati terzi, soprattutto la Cina) è importante non solo perché mette al centro delle cause migratorie i cambiamenti climatici ma induce, oggi più che mai in occasione della Giornata Mondiale del Migrante, ancora prima di guardare alle cause a una riflessione sull’urgenza di garantire percorsi sicuri a chi è costretto ad abbandonare le proprie terre. Pensiamo che solo nella rotta del Mediterraneo quest’anno (fino a settembre) sono stati 1.300 i morti e i dispersi, un dato diffuso dalla Fondazione Migrantes.
Una fotografia delle migrazioni climatiche e ambientali in Italia è restituita nel report “Migrazioni ambientali e crisi climatica – Edizione Speciale Le Rotte del Clima”, curato da A Sud in collaborazione con Systasis (promotore del progetto “Le Rotte del Clima” nel quale è stata effettuata la ricerca sul campo che ha coinvolto circa 350 persone migranti in Italia), ASGI, We World e un’ampia rete di partner.