Passi avanti per la giustizia climatica
Dalla Cassazione italiana alla Corte di Giustizia Internazionale dell’ONU, si rafforza il riconoscimento degli obblighi giuridici nel contrasto al cambiamento climatico.
A Sud: “Un passaggio decisivo anche per il nostro contenzioso Giudizio Universale”.
In questi giorni segnati dalle ondate di calore e dagli eventi estremi sono arrivate due notizie che aprono anche in Italia la strada per ottenere giustizia climatica nei tribunali. La prima riguarda Eni, il colosso petrolifero italiano: il 22 luglio la corte di cassazione ha riconosciuto la legittimità della Giusta Causa, il contenzioso climatico portato avanti da Greenpeace, ReCommon e da dodici cittadine e cittadini contro Eni, Cassa Depositi e Prestiti e il Ministero dell’Economia e Finanze.
L’altra buona notizia arriva dalla Corte di Giustizia Internazionale delle Nazioni Unite. Il 23 luglio i giudici dell’Aja, con una pronuncia storica, la Corte ha stabilito che gli Stati devono affrontare “la minaccia urgente ed esistenziale del cambiamento climatico”, collaborando per limitare le emissioni di gas serra. E soprattutto, ha affermato il presidente della Corte Yuji Iwasawa, “i trattati sul cambiamento climatico stabiliscono obblighi rigorosi e non rispettarli può costituire una violazione del diritto internazionale”.
Con la decisione della Cassazione si esce da un pantano giuridico
L’istanza presentata alla Cassazione nasce non solo dalla volontà di ottenere un regolamento di giurisdizione riguardante la causa contro Eni per riconoscere i danni climatici provocati dal colosso del fossile, ma anche per superare i dubbi interpretativi sollevati dalla sentenza di primo grado di Giudizio Universale, il contenzioso climatico promosso da A Sud e altri 202 soggetti contro lo stato italiano, dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione. Una decisione in controtendenza rispetto ad altre esperienze europee e sconfessata dalla successiva vittoria della causa intentata da Klima Sennioninnen davanti la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo. Greenpeace e ReCommon avevano chiesto alla Cassazione di sciogliere questo punto. Così è arrivato un pronunciamento che, oltre a dare ragione alla Giusta causa, ribadisce un principio: i tribunali italiani hanno giurisdizione – cioè hanno competenza a giudicare – in ambito climatico.
Finalmente si esce dal pantano giuridico in cui la decisione del tribunale civile di Roma ha spinto il panorama del contenzioso climatico in Italia. La decisione della Cassazione riapre il cammino per la giustizia climatica, sulla quale si muove anche il percorso di Giudizio Universale.
La pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia è un ulteriore passo decisivo per il nostro contenzioso e per la giustizia climatica in generale
L’opinione consultiva sul cambiamento climatico emessa il 23 luglio scorso dalla Corte Internazionale di Giustizia ha chiarito che gli Stati hanno obblighi giuridici concreti, non solo impegni “politici”. Gli Stati devono considerare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale consuetudinario e dai trattati sui diritti umani. La mancata adozione di misure adeguate per ridurre le emissioni può costituire un atto illecito internazionale. È un passo decisivo verso la responsabilizzazione degli Stati e la giustizia climatica globale.
In tal senso il commento dell’Avv. Luca Saltalamacchia del team legale di Giudizio Universale.
“Il parere della Corte Internazionale di Giustizia è molto chiaro nel prevedere che gli Stati, in materia climatica, non godono di alcuna discrezionalità assoluta, ma piuttosto devono sottostare ad obblighi vincolanti, stabiliti dai trattati sui cambiamenti climatici, e che la violazione di tali obblighi costituisce un illecito internazionale. L’ordinanza della Suprema Corte nell’ambito della Giusta Causa fissa un altro importantissimo principio: che le controversie climatiche sottoposte all’autorità giudiziaria devono essere decise nel merito, non potendosi applicare il principio della separazione dei poteri per escludere che un Giudice valuti la legittimità delle richieste formulate dai ricorrenti in omaggio ad una inesistente discrezionalità politica in ambito climatico.”
Tutti elementi che rafforzano la legittimità delle domande presentate nell’ambito dell’azione legale intentata contro lo Stato.
“Il diritto internazionale parla con chiarezza: proteggere il clima è un obbligo, non un’opzione. – commenta Marica Di Pierri, portavoce di A Sud – Ci auguriamo che questa importante presa di posizione abbia effetto anche nell’ordinamento italiano, e che assieme alla decisione sulla giurisdizione della Corte di Cassazione spinga anche nel nostro paese i giudici a pronunciarsi nel merito sulle cause climatiche, a partire proprio da Giudizio Universale”.
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