Scuola 2025/26: tra nuove regole e vecchie (e nuove) emergenze

Il nuovo anno scolastico si apre tra bocciature per condotta, stop agli smartphone e nuove Indicazioni nazionali in arrivo. Ma la scuola italiana affronta sfide ben più profonde: crisi climatica, economia di guerra e diseguaglianze strutturali. Serve ripensare la scuola come bene comune, spazio di giustizia sociale ed ecologica.


Settembre 2025. Parte il nuovo anno scolastico  l’8 settembre a Trento, il 10 in Piemonte fino ad arrivare al 16  in Puglia e Calabria. 

Oltre 7 milioni di studenti e studentesse. A scandire il ritorno in classe non ci sono solo i calendari regionali, ma anche un clima di attesa e preoccupazione. 

L’Italia vive un contesto segnato da un’economia di guerra che riduce le risorse per l’istruzione, da una crisi climatica sempre più evidente, con eventi estremi in crescita, e da un dibattito acceso sulle Nuove Indicazioni nazionali che entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026/27. A questo si aggiungono le misure immediate introdotte dal governo: la bocciatura per condotta e lo stop agli smartphone in classe. Scelte che dividono opinione pubblica e comunità scolastica, perché percepite da molti come simboliche e punitive più che come risposte ai problemi reali della scuola.

 

Le crisi esterne e le nuove indicazioni nazionali

L’anno scolastico si apre, quindi, in un mondo attraversato da conflitti e instabilità economica. La guerra in Ucraina e il massacro di Gaza continuano a segnare l’agenda internazionale, mentre la crisi climatica incide sempre più a livello globale e locale, come  nel nostro Paese: nei primi cinque mesi del 2025 sono stati registrati 110 eventi estremi, con un aumento del 31% rispetto al 2024. Alluvioni, esondazioni e ondate di calore prolungate hanno effetti diretti sulla vita quotidiana e pongono nuove sfide educative. Secondo Germanwatch, l’Italia è il Paese europeo più colpito dagli eventi climatici estremi tra il 1993 e il 2022, con oltre 38.000 vittime e costi economici enormi. La scuola non può ignorare questi dati: dovrebbe formare cittadini e cittadine capaci di comprendere e affrontare tali sfide globali.

L’ombra delle Nuove Indicazioni nazionali

Oltre all’economia di guerra e alla crisi climatica a pesare sul dibattito c’è poi l’ombra delle Nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, che entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026/27. Presentate come aggiornamento necessario, hanno suscitato critiche diffuse tra insegnanti e associazioni. L’impianto prescrittivo e rigido, con elenchi di conoscenze anno per anno, riduce l’autonomia didattica e sembra riportare la scuola a un modello nozionistico, distante dalle competenze e dal protagonismo delle e degli studentə. In molti denunciano il rischio di una “scuola del passato”, meno inclusiva e meno adatta a preparare i/le giovanə alle sfide del presente.

Negli ultimi mesi, docenti, studentə, associazioni e famiglie hanno dato vita a reti di confronto e mobilitazione. La nascita della Rete per la scuola pubblica, le assemblee e le manifestazioni annunciate testimoniano che la società civile non resta indifferente. Il confronto non riguarda solo i contenuti didattici, ma l’idea stessa di scuola: un luogo di trasmissione passiva o un laboratorio di cittadinanza attiva e pluralismo?

 

Le diseguaglianze strutturali

All’economia di guerra, alla crisi climatica e alle mobilitazioni che ruotano attorno alla scuola si aggiungono anche le disuguaglianze ormai endemiche del sistema Italia in ambito educativo formale. Ne parla molto chiaramente il dossier pubblicato lo scorso 4 settembre da Save The Children dal titolo “Chiamami col mio nome”  secondo cui il 12,2 per cento degli studenti e delle studentesse della scuola italiana, 865 mila in tutto, non ha la cittadinanza, ma solo un permesso di soggiorno. 

1 studente/studentessa su 8, nello scorso anno scolastico, ha vissuto sulla propria pelle una condizione di mancato riconoscimento. Nel 2002 erano il 2,7 per cento, fotografando una progressione netta negli ultimi 20 anni. Oggi il 65,4 per cento di questi/e giovani senza cittadinanza, è nata in Italia.

Questi i numeri di una realtà strutturalmente diseguale fatta di disparità economiche e giuridiche che si traducono necessariamente in un netto divario formativo, che vede studenti e studentesse con una storia migratoria non raggiungere delle competenze scolastiche sufficienti o non accedere ai percorsi della scuola secondaria di secondo grado, segnando irreversibilmente il loro percorso di crescita individuale e il percorso economico professionale futuro.

 

Bocciatura e smartphone: segnali controversi

A chiudere il cerchio i provvedimenti immediati che entrano in vigore con l’inizio dell’anno scolastico: la bocciatura per la condotta nelle scuole secondarie di secondo grado, mentre per quelle di primo grado il voto in condotta farà media, e lo stop agli smartphone in aula per gli/le studenti/studentesse. La prima punta a rafforzare il valore del rispetto e della disciplina, ma rischia di trasformarsi in un provvedimento punitivo che non tiene conto delle cause reali del disagio scolastico. La seconda mira a limitare le distrazioni digitali, ma suscita dubbi sulla sua applicabilità concreta e sull’opportunità di vietare anziché educare a un uso consapevole della tecnologia. Entrambe le misure sollevano interrogativi: sono scelte utili per migliorare la scuola o scorciatoie simboliche che evitano di affrontare nodi più profondi?

 

La questione strutturale e lavorativa

Inoltre si torna in classe in un sistema di edilizia scolastica in emergenza. Molte scuole  restano inadeguate, con problemi di sicurezza e manutenzione; le classi sovraffollate sono una realtà diffusa; la carenza cronica di docenti e personale rende difficile garantire continuità e qualità. A fronte di queste emergenze, le nuove misure governative appaiono parziali, più orientate a dare segnali politici che a risolvere i problemi concreti della scuola pubblica.

L’anno scolastico 2025/26 si annuncia dunque come un anno cruciale. Le nuove regole disciplinari e le Indicazioni nazionali del 2026/27 segnano una direzione precisa, ma la risposta delle comunità scolastiche e delle comunità educanti può ancora incidere. La scuola resta un bene comune: non può accontentarsi di misure punitive o di programmi rigidi, ma deve puntare su investimenti, inclusione e pensiero critico.

 

La proposta formativa e l’impegno di A Sud 

In questo equilibrio tra novità annunciate e problemi irrisolti, tra richiami all’ordine e richiesta di libertà, si gioca una parte importante del futuro democratico del Paese.

L’Area Formazione di A Sud vuole partire da queste storie individuali e collettive, che ci restituiscono una moltitudine di bisogni non riconosciuti che creano le contraddizioni e le esclusioni delle nostre scuole. A Sud si occupa di ecologia e cambiamenti climatici ma non esiste sguardo ecologico senza dialogo con i soggetti vivi che nei contesti ambientali si muovono. È così che, quando andiamo nelle scuole a parlare di crisi climatica, non possiamo non inserirla nel sistema socio economico diseguale che ne costituisce il contesto, e soprattutto la causa principale. Non possiamo non parlare delle conseguenze diseguali sulle vite delle persone, perché nascere nella regione subsahariana non è come nascere in America del Nord; perché avere un reddito basso in un mondo ferocemente colpito dai cambiamenti climatici ti rende molto più vulnerabile; perché una villa che brucia a Beverly Hills non è come una casa di lamiera inondata in Pakistan.

Crisi climatica e disuguaglianze sociali

La dimensione climatica ed ecologica si intreccia con quella sociale ed economica in un complesso indissolubile, per questo non ci sarà risoluzione delle problematiche ambientali se prima non rivoluzioniamo il nostro modo di stare al mondo, se non appianiamo le disuguaglianze sociali, se non trasformiamo il nostro modo di produrre.

È con questa postura che affrontiamo le cause e le conseguenze della crisi climatica nelle scuole e che pensiamo anche alla costruzione di strumenti utili a combatterla. Pensarsi come una comunità in movimento, come un soggetto politico collettivo, partendo dalla classe fino alla comunità scolastica che si attraversa, è un modo per creare percorsi di attivazione e per affrontare le cause e le conseguenze delle molteplici crisi che ci colpiscono. La nostra newsletter sulla scuola, in uscita ogni mese, è invece il canale comunicativo e di riflessione che abbiamo scelto, megafono di voci dal basso della scuola e di squarci d’immaginazione in un mondo che brucia.

Le storie dentro la crisi climatica

Grazie alla collaborazione con Dire, Fare, Insegnare ogni mese usciranno contributi su questa rivista che partiranno proprio da questi presupposti: racconteranno la crisi climatica dagli occhi e dalle parole di chi la vive in maniera più diretta, ci restituiranno le storie dentro la crisi climatica, non solo la Storia degli scienziati per il clima che seppur fondamentale, satura spesso lo spazio mediatico. La crisi climatica prenderà la forma non solo di un evento scientifico naturale, per il quale bisognerà trovare chissà quale avveniristica soluzione tecnica miracolosa, ma trasparirà dalle microstorie degli individui, delle comunità e dei territori in cui vivono. Si manifesterà dalle vulnerabilità di ragazzi e ragazze che vivono in un’istituzione scolastica pubblica definanziata che è tra i principali soggetti a doversi adattare ad un clima che cambia. Apparirà come evento politico, non solo climatico, lasciando emergere infine alcune domande: come reagiremo ad un mondo che cambierà drasticamente? Che ruolo avremo come educatori ed educatrici? Che ruolo vorrà avere la scuola pubblica in questi cambiamenti? 

 

scuola 2025/26

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