Settembre Capodanno della scuola
Ricomincia la scuola: tra fatica e desiderio, l’urgenza è parlare di diritti e oppressioni. Che questo sia un anno di resistenza condivisa.
Dopo la pausa estiva, lunga quanto ruoli e incarichi consentono, si torna ad attraversare quei luoghi che ci tengono insieme per lunghi mesi ogni anno e, solo per una manciata di giorni, la scuola è piena di insegnanti, ma non ancora di studenti e studentesse.
Tornare porta con sé ogni volta un senso di straniamento. Per la voglia di rimettere energie in nuove sfide, insieme al bisogno di conservare quel ritorno a sé che avviene quando ci si allontana nei molteplici altrove estivi.
Complessità e desiderio
Non è semplice rientrare ogni volta nell’enorme complessità della scuola, fatta di vissuti e storie personali, aspettative divergenti, fragilità, dinamiche relazionali, responsabilità, vincoli organizzativi e pressioni istituzionali. Doversi riconnettere con il desiderio, mettendo da parte la consapevolezza dell’impegno che ci aspetta, richiede uno sforzo di presenza e di senso. I primi giorni sono un momento importante per ricentrare il lavoro per il nuovo anno e provare a ricordarci quale scuola, quale società e quale mondo vogliamo.
Facile, difficile o rigorosa?
La scuola non è un luogo facile, abitarla ogni giorno comporta il farsi carico di molteplici aspetti che eccedono la didattica. Ma a noi insegnanti non è concessa questo tipo di lamentela: il mondo ci vede come una categoria privilegiata e ci vuole sempre ardenti del fuoco sacro dell’insegnamento.
Dopo i vari interventi ministeriali, improntati alla disciplina e all’autorità, negli ultimi mesi si è discusso se la scuola debba essere più difficile e cosa significhi questa parola: più dura, selettiva, disciplinante, faticosa e condotta col pugno duro del Magister?
Dovremmo augurarci una scuola né facile, né difficile, ma rigorosa. Dove si riesca a dare senso a ciò che si fa, dove a studiare non siano solo studenti e studentesse ma anche chi insegna, con il tempo, gli strumenti e le condizioni per poterlo fare. Una scuola in cui ciascuna e ciascuno di noi senta il desiderio di costruire orizzonti di possibilità, dove poter imparare a pensare, esprimersi e sentirsi parte di una comunità, senza coercizione, fatica, noia o divieti.
Disimparare per imparare
Come dice Rahma Nur, maestra e poeta:
“dovremmo, oltre che imparare, disimparare e disconoscere ciò che finora ci hanno imposto e ci vogliono imporre. Entrare in una modalità di insegnamento/apprendimento che sia funzionale e non indossare gli stessi occhiali da miopi di chi è rimasto pietrificato nella visione di una scuola personalistica, chiusa e stantia. Disimparare per imparare a stare con, e non a stare per.”
Diritti, parole e resistenza
Che sia un anno, allora, in cui le nostre pratiche siano orientate da indicazioni internazionali e interculturali più che nazionali. Perché chi vive la scuola ogni giorno sa bene quanto il mondo da fuori entri nelle aule, anche se proviamo a tenerlo nascosto sotto i banchi. Non è possibile prescindere dal paradigma della complessità che caratterizza le nostre classi.
er questo nuovo anno la sfida più urgente è tornare a parlare di diritti e di oppressioni, qui e in ogni luogo, disvelando i linguaggi e i saperi, con la consapevolezza del rischio a cui ci espone questa fase storica, ma anche con la responsabilità che comporta la scelta di educare.
Se quello che si apre è l’anno delle parole vietate che non si possono nominare a scuola, allora è proprio il momento di aprire spazi per parlarne. Che ognuna e ognuno di noi trovi la forza di usare le parole necessarie, perché la neutralità a scuola non è un principio possibile.
Parliamo di giustizia e di diritti più che di un vago concetto di pace. Parliamone in classe coi bambini e le bambine, coi ragazzi e le ragazze, perché, è a scuola che si inizia e si impara a discutere.
Che sia quindi un anno di pratica quotidiana e condivisa di resistenza. Buon inizio.
